AA. VV., Domenico Zipoli organista e compositore pratese. Contributi raccolti in occasione della XV Rassegna Internazionale di Musica per organo "Domenico Zipoli ", Prato 1981.

DONATI Pier Paolo, L'arte organaria dell'Italia centrale dei secoli XVI e XVII e l'organo "ideale" per l'esecuzione delle musiche di Domenico Zipoli, pp. 29-37: testo integrale, escluse le note.

Questa nota si propone di individuare le caratteristiche timbriche e costruttive dell'organo al quale idealmente Domenico Zipoli destinava le sue composizioni utilizzando nuovi documenti, recenti acquisizioni sulla storia organaria del Seicento in Italia e le indicazioni implicitamente contenute nelle stesse pagine musicali del compositore. Anche se ancora ai tempi dello Zipoli si componeva tenendo presente il tipo più comune di organo per allargare la possibilità di esecuzione al maggior numero possibile di strumenti, tuttavia dallo spirito stesso delle composizioni, se non da altre inequivocabili evidenze, generalmente traspaiono le caratteristiche dello strumento per cui sono state preferibilmente scritte. Così, se è oggi legittima l'esecuzione delle sue pagine su qualsiasi strumento antico o che conservi le caratteristiche della tradizione costruttiva italiana, come noto mantenutasi almeno fino alla metà del XIX secolo, più puntuali notizie sulle peculiarità dello strumento usato o ritenuto idoneo dallo Zipoli consentiranno di dar veste sonora alle sue composizioni con una garanzia di autenticità timbrica a cui non potrà non corrispondere un pari avanzamento nella comprensione della stessa opera musicale.
Per una esecuzione storicamente fedele, che è insieme l'arte e la scienza dello stile sonoro, un ruolo fondamentale è svolto dagli strumenti antichi conservati o correttamente restaurati; sono questi infatti l'unico tramite che consenta il recupero del mondo sonoro del passato e la restituzione di una immagine filologicamente corretta della pagina musicale antica. Quanto possa valersi la ricerca musicologica e in generale la comprensione delle opere musicali dei secoli XVI-XVIII delle indicazioni fornite da tali documenti sonori, è ormai dimostrato dalle numerose realizzazioni discografiche e dalle avanzate acquisizioni sulla prassi esecutiva, dovute anche a specialisti italiani (1).
Naturalmente la traccia più promettente da seguire per conoscere le caratteristiche dell'organo ideale per l'esecuzione delle musiche dello Zipoli rimane quella degli strumenti da lui suonati nell'esercizio della professione. Gli strumenti che possiamo presumere fossero conosciuti dallo Zipoli prima della sua andata a Roma e dell'assunzione dell'incarico di organista della chiesa del Gesù nel 1715 dovettero essere, in Toscana, quelli della città dì Firenze per il suo discepolato presso il maestro di cappella del Duomo attestato da Giovan Battista Martini (2), e quelli della nativa Prato.
Non è da credere che in Firenze o in Prato lo Zipoli potesse facilmente uscire da una tradizione rinascimentale solidissima, che accomuna tutti gli strumenti che si sono conservati o di cui si ha notizia essere in efficienza ai tempi del compositore pratese. A cominciare dall'Onofrio Zeffirini della cattedrale di Prato del 1579, o dal Luca Romani della chiesa di San Domenico del 1634, per giungere al Domenico Cacioli del 1680 del convento del Carmine, gli organi della città si mantenevano nell'ambito di una composizione fonica consolidata e normalmente comprendente il Ripieno esteso fino alla Vigesimanona e i Flauti in Ottava e Decimaquinta, più raramente in Duodecima (3). Nella stessa Firenze, ricchissima a quei tempi di strumenti cinquecenteschi, gli organi di rado ospitano registri diversi da quelli ricordati. Si possono citare i casi delle Zampogne presenti nel 1669 nell'organo di Santa Maria Novella, o delle Sordine, registro di regale, degli organi di Sant'Ambrogio, del Duomo e di Santa Trinita, tutti dovuti allo Zeffirini rispettivamente nel 1565, nel 1567, nel 1571 (4).
Tra gli effetti speciali presenti negli organi che lo Zipoli poteva aver suonato od ascoltato in Firenze, si possono ricordare il Tremolo e il Rosignolo, il Curlo, "... il Tamburro, l'ugelli et tremolanti con sue trombette..." adottati da costruttori attivi in Toscana quali Domenico Benvenuti (1585) e Giovanni Palmieri (1651).
La presenza in Firenze di una ricca raccolta di strumenti da tasto, usata nell'attività musicale della corte medicea, non deve essere sfuggita all'attenzione dello Zipoli che potrà averne avuto una conoscenza sufficientemente precisa attraverso il maestro di cappella del Duomo. presso cui "apprese i primi principii", o per diretto desiderio del Granduca, se si deve credere alle notizie riferite dal Martini sull'interesse mostrato dal principe per l'educazione del giovane musicista pratese, che da lui fu infatti inviato prima a Napoli presso Alessandro Scarlatti e quindi a Roma sotto Bernardo Pasquini. I documenti conservatisi di quella collezione in assenza degli strumenti di cui si è perduta ogni traccia, e per cui sarebbe auspicabile dare inizio ad una sistematica ricerca archivistica nella speranza di rintracciarne qualcuno, magari ricoverato in musei stranieri, forniscono elementi di indubbio interesse che ampliano sensibilmente le risorse timbriche e in generale la cultura organologica a cui poteva far riferimento il giovane compositore di Prato.
Si possono ricordare i "36 campanuzzi di metallo da oriuoli di più grandezze per farne una consonanza o vero registro d'un orghano..." ordinati per Palazzo Pitti nel 1589, gli organi enarmonici di Francesco Palmieri della fine del Cinquecento, l'organetto di tre registri "…due di zampogne e uno di canne di legno tutte d'un pezzo…" (ante 1700), il mezzo registro di Zampogne con risuonatori di legno con presumibile tessitura solo soprana in un organo con due registri di piombo (ante 1660). Tuttavia la caratteristica di alcuni di questi strumenti di essere formati con canne di legno aperte, in cipresso generalmente, e tappate, dovette, riteniamo, costituire la maggiore novità per lo Zipoli. Erano presenti organi con "...due registri con 90 canne che fanno l'ottava l'una l'altra, per la metà turate grosse..." (1592), con "... flauti di Cipresso strozzati..." (ante 1654), con "... canne parte turate..." (ante 1654), ecc.; e ancora strumenti con canne aperte di cipresso con uno, due, tre e anche quattro registri.
Prima del suo viaggio romano difficilmente lo Zipoli potrà aver incontrato in organi monumentali allogati nelle chiese di Napoli o di Bologna, per non dire di Firenze, registri di legno, tanto più coperti; tale pratica era estranea alla tradizione italiana. Tali registri venivano riservati agli strumenti da camera per renderli più dolci "… acciocché per la vicinanza delle orecchie d'ascoltanti non siano fastidite dall'altezza del suono…" come testimonia il Barcotto nel 1652. Egli aggiunge poi che "... tal sorte d'Organi viene fabbricata di due soli registri, lasciando fuori tutti li ripieni...". Se tale regola veniva ovunque e in ogni caso osservata, dobbiamo ipotizzare due registri da 'concerto', per esempio due flauti, per il caso dell'organo di legno con quattro file di canne citato più sopra; ma non è impossibile si derogasse dal tenere "fuori tutti li ripieni", a giudicare dallo strumento di Santa Maria delle Grazie di Montepulciano che raggiunge, con canne tutte di cipresso fino al limite di acutezza di un ottavo di piede, l'armonico di Vigesimanona nel Ripieno. È vero che questo 'unicum', conservatosi miracolosamente intatto nella sostanza fino a noi, è uno strumento grande, da chiesa; tuttavia le nostre conoscenze organologiche di un periodo tanto complesso e fondamentale non sono tali oggi da consentirci di dirimere la questione.
D'altra parte, come vedremo subito, il panorama delle composizioni foniche, e conseguentemente dei timbri organistici, si complicà subito appena si prenda in esame l'attività laziale di costruttori toscani, che in Roma risultano assai meno conservatori e tradizionalisti; oppure le opere contemporanee di costruttori stranieri attivi in Italia, che non mancarono di influire sugli sviluppi dell'arte organaria italiana. Nuove acquisizioni documentarie o più precise comparazioni delle fonti consentono oggi una valutazione forse più precisa dell'apporto che i costruttori stranieri, latori di una distinta cultura organaria, ebbero sugli sviluppi di quella italiana. Il dato manualistico che indica in Guglielmo Hermans l'importatore verso la metà del Seicento delle sonorità caratteristiche dell'organo barocco, individuate nelle "mutazioni in terza" e nelle "ancie squillanti" (5), potrà essere riconsiderato alla luce dei nuovi dati che rivelano già attestate in Italia tendenze e soluzioni più complesse e varie di quanto sino a ieri si fosse ritenuto.
Certo, allo Zipoli divenuto nel 1715 organista della chiesa del Gesù a Roma e titolare di uno strumento dell'Hermans costruito circa cinquanta anni prima, dovette aprirsi un mondo sonoro inedito e forse inatteso, se riteniamo le sue esperienze limitate agli strumenti toscani fino ad ora illustrati. Lo strumento dell'Hermans non si conserva più, e neppure è nota la composizione fonica; sappiamo soltanto che comprendeva un registro di tromboni con le tube di latta stagnata. Tuttavia, sulla base degli altri strumenti costruiti dall'Hermans in Italia, ad esempio quello del duomo di Como, 1650, quello di Genova in Santa Maria a Carignano del 1656, o dello Spirito Santo di Pistoia, 1669, non è improbabile che anche al Gesù fossero presenti i caratteristici registri della Sesquialtera, del Cornetto e qualche ancia con i risuonatori a tuba raccorciata; del Trombone, rappresentante delle ance con le tube di lunghezza reale, si è già detto. D'altra parte. da un interessante documento di "Variationj" , cioe consigli di registrazione pubblicato dal Culley (6), si apprende che nella stessa Roma l'organo di Sant'Apollinare sempre dell'Hermans era dotato di una Sesquialtera, di un Cometto, Tromba, Voce puerile, Voce Umana (forse entrambi registri ad ancia con tuba raccorciata), oltre ad un Ripieno esteso fino alla Trigesimasesta, Flauti in Ottava e Duodecima all'organo grande; del Tromboncino, del Flauto e di una Terza, che "se giunge talvolta" al Ripieno, all'organo piccolo.
Comunque, non tutti i registri adottati dall'Hermans e i timbri da lui evidentemente prediletti erano sconosciuti ai costruttori italiani. Per i registri ad ancia, sappiamo che erano di uso assai frequente fino dalla metà del Cinquecento. Per quelli della famiglia dei regali, o da questa derivati, con risuonatori di varie forme e costruiti con materiali diversi per ottenere evidentemente diversità di timbri, si possono citare il "... regale di metallo unissono, del principale, et farrà la voce humana..." costruito dal toscano Francesco Palmieri nel 1585 per l'organo dell'Aracoeli in Roma; il "...registro di comamusa parte di piombo e parte di ottone..." (Cipri, 1576, Sant'Arcangelo di Romagna); le Zampogne di rame presenti in un organo di San Pietro a Roma intorno al 1597; il "...Meza Registro, è Zampogna di Legno..." in uno strumento di Palazzo Pitti citato in un inventario del 1660. Per le ance con risuonatori a lunghezza reale si possono ricordare "...li tromboni unisoni del principale di metallo, con le sue trombe di piombo alte..." costruite dall'altro toscano Domenico Benvenuti per l'Aracoeli (1585), o il Trombone di "…stagno fatto a tromba…" di cui parla un documento del 1601 per una commissione a Luca Blasi sempre per l'Aracoeli.
Fra i registri adottati dall'Hermans con caratteristiche nuove, spiccano dunque solo i Cornetti e la Sesquialtera. Questi registri formati da file diverse di canne ad anima hanno in comune la peculiare presenza dell'armonico in terza, caratteristica che ad oggi non si riscontra nei documenti o nelle opere superstiti degli italiani attivi prima dell'Hermans. Ma prima di vedere questo punto sarà opportuno terminare l'esame del variopinto panorama che il tardomanierismo offre al musicologo non meno che allo storico dell'arte.
A consultare le fonti e a scorrere i documenti tratti dagli archivi i fiamminghi in Italia appaiono quasi innovatori a corso forzoso; come se dovessero affidare alla sola fantasia le possibilità di affermazione in un paese che godeva di una tradizione antica e consolidata, di un'arte universalmente celebrata e stimata come perfetta nella sua semplicità aurea. L'inventiva dei costruttori fiamminghi per costruire registri di organo imitativi in senso lato di altri strumenti, è già attestata dal Banchieri nel 1609. A proposito dell'organo del duomo di Gubbio di Vincenzo Fiammingo il compositore bolognese riferisce che "... vengono imitati Flauti coperti, Scoperti, à Fuso, Mutoli, Pifferi alla Svizzera Regale, Tromboni, Trombe squarciate, voci humane, Cornetti, Viole, Tamburi, Tremolo, e Usignoli; e talmente imitato al naturale, che molti forestieri virtuosi, che ivi concorrono a sentirlo, restano in forse se sieno stromenti naturali, ò pure artefiziali". Tali meraviglie trovano riscontro nei documenti pubblicati dal Fumi sull'organo del duomo di Orvieto per il quale nel 1591 il fiammingo Vincenzo Fulgenzi, certamente da identificare con l'autore dell'organo del duomo di Gubbio, promette '... un flauto coperto in duodecima... Un registro di flauti a cannello della quintadecima... Un flauto a fuso in decimanona... Un registro di pifferi traversi... Un registro di voci di cuculi... Un registro di grilli... Un registro di sonaglini...".
Una fantasia timbrica tanto travolgente, almeno sulla carta, non era comunque del tutto ignota ai costruttori italiani. Si può cominciare col citare il "...trigallo, qual faxa voce di pifferi..." (Giovanni Giacomo Antegnati; Milano, Duomo, 1552); il "... registro de sovrani che se chiama 29a..." (Giovanni Cipri; Rovigo, San Francesco, 1541); il registro di incerta definizione chiamato "... flauto in duodecima detto voce humana..." (Ambrogio Siri; Udine, Duomo, 1567); l'altrettanto indefinito "…Registro de violini…" (Baldassarre Malamini; Ravenna, San Vitale, 1581); il registro di "Tremolanti" computato come ottavo dopo quelli ordinari dell'organo e il Flauto da Cesare Romani per l'organo di San Pancrazio di Firenze (1585), ecc. Gli esempi di registri straordinari qui ricordati inducono a credere da un lato che anche i costruttori italiani partecipassero all'invenzione manieristica che si è visto travolgente nei fiamminghi attivi nella penisola, dall'altro alla inopportunità di un bilancio definitivo dei dare e degli avere per le lacune delle attuali conoscenze organologiche. Che l'invenzione o l'adozione di tali novità non passasse per nulla inosservata, e che anzi dovesse costituire materia di contrasto di opinioni, lo si evince dal commento un po' acido del Barcotto che nel 1652 bolla i registri di imitazione quali inutili capricci: "... Si può aggiungere altra sorte di registri [oltre a quelli ordinari dell'organo], come nell'organo di Rovietto [Orvieto]... e questo sarà più conforme al capriccio di chi vuol fare la spesa in tale sorte de' Registri, fra quali vi sono tromboni, fagotti, cornetti, voci umane, ed altre galanterie...".
Tornando alla Sesquialtera e al Cornetto, se non si possono citare precedenti per combinazioni di armonici includenti quello in terza, si possono rintracciare tentativi di creazione di timbri non dissimili ed egualmente originati dall'unione di file di canne alquanto acute. Il Fulgenzi, sempre per Orvieto nel 1591, prometteva di costruire " ...Un registro di ciamballetti che si vanno adoperando con li flauti et traversi...". Da una spiegazione di Sebastiano Hay (7), un altro fiammingo che costruisce nel 1581 un organo in Sant'Apollinare a Roma veniamo a sapere che "... Il ciambalino è un registro doppio, ch'è un'ottava, et una quinta...". La citazione di un "Cymbalo" fatta anche dal Casparini nel 1686 per un registro con tali caratteristiche (8), sembra consentire l'ancoraggio del termine all'effetto acustico prodotto dall'omonimo strumento a corde, e quindi a ritenere che le file che componevano il registro organistico corrispondessero agli armonici in XIX e XXII se non, più probabilmente, a quelli in XXVI e XXIX. Per parte italiana, non è forse fuori luogo ricordare che nell'organo Antegnati della chiesa dei Carmini a Brescia del 1608 le file di XXVI e XXIX "... erano tutti dua insieme ciouè un solo registro li apre tutti dua..."; una unione che in una registrazione di "mezzo ripieno" non poteva che produrre un effetto non dissimile dai "ciamballetti" del Fulgenzi e dell'Hay. Un mezzo ripieno suggerito dall'Antegnati proprio nel 1608 è composto di Principale, Ottava, Flauto in Ottava, XXIX e XXXIII; nello spostamento verso l'acuto delle due file di Ripieno rimane confermato, ed anzi viene esaltato, l'effetto di 'suono di corda' che evidentemente si voleva ottenere. Se mai, la sfumatura sta nel suggerimento del Fulgenzi di usare i "ciamballetti" con i flauti aperti e tappati. A parte che già nella registrazione suggerita dall'Antegnati compare il Flauto in Ottava, vedremo subito che l'indicazione del Fulgenzi era più che possibile in un altro strumento romano eccezionale dovuto a due costruttori toscani.
Delineato il quadro dell'arte organaria italiana fra gli esiti tardorinascimentali e gli innesti fiamminghi in epoca barocca si potrà forse ricavare dalle pagine organistiche dello Zipoli qualche indicazione sulle sue propensioni e la misura dell'influenza dell'organo Hermans di cui era titolare. Nulla di straordinario nelle pagine dello Zipoli per quel che riguarda la distribuzione delle parti, affidate ad un solo manuale ed a un pedale in funzione di sostegno di qualche basso, sottinteso dalla pagina stessa. Il tutto nella tradizione italiana, per nulla toccata dalle due tastiere "more flandro". Nei Versi, nelle Toccate, nelle Canzoni, nei vari brani a destinazione liturgica, non si trova traccia di voci mantenute in una tessitura e con una scrittura adatta per essere affidate al caratteristico registro di Cometto. L'unica ancia citata, la piva, rientra perfettamente come si è visto nel quadro dei registri tradizionali italiani. Tutto quello che le pagine dello Zipoli sembrano concedere alle sonorità caratteristiche degli strumenti dell'Hermans appare limitato alla possibilità di usare registrazioni comprendenti la Sesquialtera nella Toccata, in qualche Verso e All'Offertorio secondo le "Variationj" a cui abbiamo già fatto cenno attribuibili all'Hermans stesso: il Ripieno al quale "... si può talvolta giunger il Sesquialtera... Principale Ottava Quinta Xa Sesquialtera..."; oppure includenti la Terza, se presente come nel caso del secondo manuale dell'organo già in Sant'Apollinare: "... Flauto, ottava, terza...".
Delle tre registrazioni espressamente indicate dallo Zipoli, le due prescrizioni "Co' flauti" che compaiono nella Piva e Al Post Comunio sembrano suggerire una propensione ai timbri dei registri tappati. Essendo improbabile che lo Zipoli pensasse di affidare idealmente ad un registro in base 4 piedi, per la rarità di quelli in base 8', il fluido svolgersi delle progressioni fin troppo insistite del suo Al Post Comunio, si può ritenere possibile che il compositore pensasse ad un Flauto tappato, Traverso o in Selva, come sembra già venisse definito, unito eventualmente ad uno in XV o in XII se presente, o ad una equivalente fila di Ripieno. Tale indicazione sembra confermata dalla particolare adattabilità di alcuni Versi a registrazioni sulla base di canne tappate, per cui si acquista un colore, un'accentazione data dal particolare transitorio d'attacco di queste canne che non sembra in pari grado possibile ottenere da registrazioni sulla base del Principale, o di altri registri aperti. In altre parole, la scrittura dello Zipoli non sembra inderogabilmente necessitare delle grandi sonorità degli organi classici e monumentali con le file spesso raddoppiate e triplicate nei soprani, né delle saporose e fin troppo piccanti possibilità timbriche degli organi costruiti dai fiamminghi in Italia.
Ricordando il periodo di formazione fiorentina dello Zipoli, viene dunque naturale dare tutto il peso che merita all'indicazione che viene dalla probabile puntuale conoscenza degli organi costruiti da Francesco Palmieri per Palazzo Pitti; tanto più che di questo autore ai tempi dello Zipoli era attivo lo strumento eccezionale dell'Aracoeli costruito con l'altro toscano Domenico Benvenuti; eccezionale per l'italia in quanto prevedeva due tastiere e due corpi d'organo, uno dei quali allogato nel parapetto della cantoria come positivo tergale (9). Non meraviglierà che sia stato scelto proprio il Palmieri per la costruzione dell'organo positivo basato su un "... principale di legno..." dopo le citazioni documentarie degli organi di cipresso della corte medicea; ed ulteriori conferme della specialità del Palmieri vengono dalla composizione fonica specificata nel documento del 1585: "...Il secondo registro un principal di piombo et siano flauti coperti... Il quarto una duodecima di piombo in flauto et coperto...". Se si considera che il quinto era "...una quintadecima di piombo et sia flautino scoperto...", dovremo ritenere questo strumento non proprio inadatto all'esecuzione delle pagine organistiche dello Zipoli.
Che un filo leghi lo 'specialista' toscano di registri coperti allo Zipoli compositore del secolo successivo non saremo noi ad affermarlo; sarà sufficientemente utile considerare nel giusto valore le indicazioni di scelte timbriche a cui anche in Italia si concesse evidentemente una particolare, precoce attenzione e acquisire alla storia organaria italiana i casi emergenti di organi positivi della prima metà del Settecento basati su registri di Principale, chiamato Flauto in Selva, interamente tappati (10).